La Corte Costituzionale si esprime sulla legittimità del Jobs Act nei licenziamenti collettivi

La Corte Costituzionale è tornata nuovamente ad occuparsi di tutele dei licenziamenti dopo che, nel 2015, il tanto discusso Jobs Act (D.Lgs. n. 23/2015) aveva radicalmente modificato il regime di sanzioni in caso di illegittimità del licenziamento irrogato dal datore di lavoro al lavoratore dipendente (sentenza n. 7 del 22 gennaio 2024, disponibile qui).

La normativa del 2015 è stata in questi anni soggetta a diversi, ed importantissimi, interventi da parte della Corte Costituzionale che, di fatto, ha rimodellato il sistema sanzionatorio sino a stravolgerlo del tutto rispetto alla prospettazione iniziale disegnata dal Legislatore (ad esempio, eliminando l’algoritmo che permetteva al datore di lavoro di calcolare l’eventuale indennità dovuta in caso di dichiarazione di illegittimità del licenziamento e sostituendola con la valutazione discrezionale da parte del Giudice del Lavoro, il quale oggi – per le società con più di 15 dipendenti – opera una valutazione in un range oltremodo vasto, ossia da 6 a 36 mensilità, in tal modo vanificando del tutto quell’intento di certezza della sanzione che ispirava l’intero impianto del Jobs Act).

Tuttavia, a differenza di altre e precedenti pronunzie, questa volta la Corte Costituzionale dà ragione al Jobs Act.

La vicenda trae origine dal rinvio alla Consulta operato dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in merito (tra gli altri motivi) alla presunta disparità di trattamento derivante dal fatto che, in ambito di licenziamenti collettivi (ma con uno schema idealmente applicabile anche a quelli individuali) la disciplina del Jobs Act si applica solo ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore della nuova normativa), mentre per i dipendenti assunti prima di tale data il regime resta quello previsto dalla legislazione precedente – e ancora in vigore –.

In particolare, nel rimettere la questione alla Corte Costituzionale, la Corte d’appello di Napoli ha ritenuto che tale differenza di trattamento in ragione della data di assunzione in una stessa procedura di licenziamento collettivo determinasse «un’irragionevole disparità di tutela (…) divenendo un fattore disarmonico e penalizzante» anche in considerazione della evidente disparità di sanzione, determinata (nel caso degli assunti pre 2015) nella possibilità della reintegrazione in servizio e (per gli assunti post 2015) in una mera indennità economica.

I Giudici Costituzionali, tuttavia, non hanno ritenuto fondata tale argomentazione. Infatti la Corte, dopo aver ripercorso le tappe fondamentali della normativa dei licenziamenti e dei precedenti giurisprudenziali in materia, ha chiarito che è consentito un trattamento differenziato a seconda del singolo periodo storico in cui una normativa è adottata ed entra in vigore. In particolare, nel caso del Jobs Act non si determina una violazione del principio di eguaglianza stabilito dall’art. 3 Cost. in quanto «non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche».

Pertanto, è ammissibile la compresenza di più regimi indennitari, a seconda del momento in cui è sorto il rapporto di lavoro (prima o dopo il 7 marzo 2015).

Ma non solo. Con un passaggio importante, la Corte Costituzionale ha precisato di ritenere adeguata la misura sanzionatoria stabilita dal Jobs Act (ossia un massimo di 36 mensilità in luogo della reintegrazione), in quanto tale misura deve ritenersi adeguata e non in contrasto con il canone di «necessaria adeguatezza» del risarcimento, che richiede che il ristoro sia tale da realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto.

La Corte, poi, è andata oltre. Prendendo spunto dal caso in esame, la Corte (come già fatto in altre occasioni) ha lanciato un monito al Legislatore, sottolineando la ormai atavica stratificazione degli interventi normativi in materia di licenziamento tali da determinare una irragionevole complessità del sistema. La Corte ha, quindi, invitato (nuovamente) il Legislatore ad adottare un approccio riformatore, finalizzato a rivisitare in termini complessivi la materia dei licenziamenti e ad adottare un sistema sanzionatorio omogeneo ed organico.

Vedremo dunque se, nei mesi ed anni a venire, il Legislatore italiano vorrà adottare un sistema coerente (ed intellegibile) a contrasto dell’illegittimità dei licenziamenti tenendo conto della necessità per le aziende di avere informazioni certe in merito all’esito dei contenziosi in materia, come del resto già accade in molti ordinamenti, sia europei sia extra-UE.