Le novità penalistiche del Decreto Legge n. 34/2020 (“Decreto Rilancio”)

1. Le novità introdotte dal Decreto Rilancio dal punto di vista penale

Il 19 maggio scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 34/2020 (di seguito anche solo “Decreto Rilancio”), con cui il Governo ha previsto alcune “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Con tale Decreto Legge – composto da 266 articoli e sette allegati – il Governo ha infatti previsto ulteriori misure a sostegno delle imprese (che si aggiungono a quelle introdotte con il “Decreto Cura Italia” e il “Decreto Liquidità”) ed ha rafforzato la tutela penale, principalmente a presidio della correttezza delle procedure di erogazione dei finanziamenti pubblici.

A seguito della pubblicazione del “Decreto Liquidità” (D.L. 23/2020), infatti, il rafforzamento della tutela penale era stato auspicato da parte di numerosi autori in dottrina, nonché dai Procuratori della Repubblica di Milano e Napoli, che, in un intervento pubblicato sulla stampa nazionale in data 10 aprile 2020, avevano evidenziato il rischio che le iniezioni di liquidità nel mercato delle imprese potessero favorire “indebite erogazioni e persino i processi di accumulazione patrimoniale tipici del crimine organizzato”.

Con il Decreto Rilancio, il Governo interviene quindi su due fronti:

• quello del diritto penale sostanziale, al fine di reprimere (e prima ancora di prevenire) le indebite percezioni di erogazioni pubbliche e di punire le condotte caratterizzate dal mendacio nelle autocertificazioni;
• quello del diritto penale processuale, dichiarando la sospensione del termine per la presentazione della querela nel periodo compreso tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020.

2. Il nuovo reato di falso e l’applicabilità del reato di cui all’art. 316-ter del Codice Penale (indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato)

Tra le novità più rilevanti del Decreto Rilancio, vi è la previsione di un contributo a fondo perduto “a favore dei soggetti esercenti attività d'impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA”.

L’art. 25 del Decreto Rilancio indica puntualmente (i) i requisiti per avere accesso al contributo (legati perlopiù ad un raffronto tra il fatturato e i corrispettivi di aprile 2020 con quelli del medesimo periodo del 2019); (ii) l’ammontare del contributo (una percentuale tra il 10 e il 20% della differenza tra l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 con quelli dello stesso periodo del 2019, con un importo minimo non inferiore a 1.000 euro per le persone fisiche e a 2.000 euro per le persone giuridiche); (iii) le modalità con cui richiedere tale contributo, ossia tramite istanza inviata telematicamente all’Agenzia delle Entrate, con cui il richiedente deve “autocertificare” la sussistenza dei requisiti previsti dalla norma; il comma 9 prevede inoltre che l’istanza debba contenere anche l’autocertificazione di regolarità antimafia da parte del soggetto richiedente e degli altri soggetti indicati dall’art. 85, commi 1 e 2, del Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011), con cui si dovrà autocertificare l’insussistenza delle condizioni ostative di cui all’art. 67 del medesimo Codice (ossia di non essere sottoposti a misure di prevenzione o a procedimento di prevenzione).

La stessa norma precisa peraltro che, qualora all’esito dei controlli dell’Agenzia delle Entrate, dovessero emergere “cause ostative” all’erogazione del contributo:

1. l'Agenzia delle entrate procederà alle attività di recupero del contributo erogato;
2. colui che ha rilasciato l'autocertificazione di regolarità antimafia potrà essere perseguito per un (nuovo) reato di falso, punito con la pena della reclusione da due anni a sei anni;
3. in caso di avvenuta erogazione del contributo, si applicherà l'articolo 322-ter del Codice Penale, che prevede la confisca, anche per equivalente, della somma ottenuta a titolo di contributo.

Il comma 14 dell’art. 25 precisa inoltre che “nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l’articolo 316-ter del codice penale”; norma quest’ultima che punisce, con la reclusione da sei mesi a tre anni, l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, purché la somma percepita sia superiore ad Euro 3.999,96 euro (ai sensi dell’art. 316-ter, comma 2, infatti, qualora la somma indebitamente percepita sia inferiore o pari ad Euro 3.999,96, si applica una sanzione pecuniaria da 5.164 a 25.882 Euro).

Anche alla luce dei primissimi commenti in dottrina (si veda, in particolare, il contributo del Prof. G.L. Gatta su Sistema Penale), qualora il contributo indebitamente percepito sia superiore ad Euro 3.999,96, il soggetto percettore potrà essere chiamato a rispondere di due reati, in concorso tra loro, ossia il (nuovo) reato di falso (previsto dall’art. 25 del Decreto Rilancio) e il reato di indebite percezioni di erogazioni ai danni dello Stato (art. 316-ter del Codice Penale).

Va peraltro rilevato che in relazione al reato di cui all’art. 316-ter c.p. è prevista anche la responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001, qualora il reato possa considerarsi commesso nell’interesse o a vantaggio della società.

3. Le nuove disposizioni a tutela del “caporalato”

Il Decreto Rilancio prevede anche alcune disposizioni volte a favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari, nonché una ulteriore stretta punitiva in relazione al fenomeno del c.d. “caporalato”.

In particolare, l’art. 103 del Decreto Rilancio prevede una specifica procedura volta all’emersione del lavoro irregolare, per i cittadini e gli stranieri impiegati nei settori dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca, dell’assistenza alla persona e del lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.

La procedura può essere attivata dai datori di lavoro oppure direttamente dagli stranieri illegalmente presenti sul territorio dello Stato, al fine di ottenere un permesso di soggiorno temporaneo (per sei mesi), convertibile in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Ebbene, al fine di rafforzare la tutela penale contro il fenomeno del caporalato, l’art. 103, comma 14, del Decreto Rilancio prevede una circostanza aggravante per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis c.p., quando le condotte previste dalla norma siano poste in essere “ai danni di stranieri che hanno presentato l'istanza di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2”.

L’art. 103, comma 22, punisce inoltre “chiunque presenta false dichiarazioni o attestazioni, ovvero concorre al fatto nell’ambito delle procedure previste dal presente articolo”. La norma precisa poi che “se il fatto è commesso attraverso la contraffazione o l'alterazione di documenti oppure con l'utilizzazione di uno di tali documenti, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni”.

4. Pene più alte per chi dichiara il falso nelle autocertificazioni

L’art. 264 del Decreto Rilancio rubricato “Liberalizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi in relazione all'emergenza COVID-19” prevede che, fino al 31 dicembre 2020, nei procedimenti volti ad ottenere l'erogazione di benefici economici (indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni), da parte di Pubbliche Amministrazioni, in relazione all'emergenza COVID-19, “le dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”, ossia le autocertificazioni, “sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento, anche in deroga ai limiti previsti dagli stessi o dalla normativa di settore, fatto comunque salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.

Il Governo è intervenuto anche sul piano penale, inasprendone le pene per la falsità nelle autocertificazioni; il Decreto Rilancio, infatti, aggiunge all'art. 76, comma 1, del D.P.R. 445/2000, che punisce, ai sensi del Codice Penale (art. 483 c.p.), “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso”, il seguente periodo: "la sanzione ordinariamente prevista dal codice penale è aumentata da un terzo alla metà".

5. La sospensione del termine per proporre querela

L’art. 221 del Decreto Rilancio è intervenuto anche sull’art. 83 del Decreto Legge 18/2020 (Decreto “Cura Italia”) – che prevedeva la sospensione dei termini processuali fino all’11 maggio 2020 –, prevedendo che “per il periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l'11 maggio 2020 si considera sospeso il decorso del termine di cui all'articolo 124 del codice penale”, ossia il termine per proporre querela.

La nuova norma, entrata in vigore il 19 maggio scorso, è da un lato a tutela delle vittime di reati, atteso che, di fatto, aggiunge oltre due mesi di tempo (rispetto ai 3 mesi previsti dal Codice Penale) per proporre la querela; dall’altro, per ovvie ragioni, la disposizione è certamente a svantaggio dei presunti autori di tali reati.

Va evidenziato peraltro che, anche durante la c.d. “fase 1” dell’emergenza sanitaria, è sempre stato possibile proporre querela, sia per le presunte vittime di reato sia per i loro difensori, che potevano rivolgersi direttamente alla Procura della Repubblica ovvero agli Uffici degli Organi di Pubblica Sicurezza, che sono rimasti sempre accessibili.