Dopo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro che si era espresso nell’imminenza dell’emanazione del Decreto Trasparenza (D. Lgs. n. 104/2022) è ora la volta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ad entrare nel merito delle nuove disposizioni in materia di informazioni da condividere con i dipendenti al momento dell’assunzione.
Il Ministero del Lavoro ha infatti emanato una interessante circolare (n. 19 del 20 Settembre 2022, disponibile qui) che traccia alcuni punti cardine estremamente utili alle aziende ed ai professionisti del lavoro al fine di interpretare correttamente il Decreto Trasparenza e adottare le corrette misure per la gestione del personale.
Come noto, il Decreto Trasparenza ha attuato la Direttiva Europea n. 2019/1152 finalizzata a realizzare «condizioni trasparenti e prevedibili» nei rapporti di lavoro. Il Decreto, entrato in vigore il 13 Agosto scorso, ha suscitato sin da subito importanti dubbi interpretativi (per la portata degli obblighi di informazione) e notevoli problemi gestionali (per la necessità di approntare, in un lasso di tempo ridotto, modifiche sostanziali ai processi di contrattualizzazione dei rapporti di lavoro).
Oggi il Ministero del Lavoro offre importanti spunti di riflessione in relazione ad un Decreto che la stessa circolare definisce «particolarmente ricco di elementi innovativi»: vediamo, in sintesi, di cosa si tratta.
La Circolare ministeriale chiarisce, anzitutto, quale sia il perimetro del Decreto Trasparenza: il Decreto si pone nel solco della legislazione comunitaria finalizzata ad «innalzare i livelli di tutela dei lavoratori», mediante la previsione di una dettagliata serie di informazioni che devono essere rese al lavoratore al momento dell’instaurazione del rapporto, in maniera tale che quest’ultimo sia informato dei diritti e doveri che ne conseguono in relazione agli aspetti principali del contratto, nonché mediante la previsione di prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro.
Sono quindi evidenti, per il lavoratore, il valore e l’importanza di una corretta informativa che comunque -chiarisce la circolare con un passaggio non di poco conto- deve essere modulata in maniera proporzionata e sostenibile per i datori di lavoro.
In questo senso, sempre nelle premesse la circolare chiarisce che l’intento del Decreto Trasparenza è quello di obbligare il datore di lavoro a fornire al lavoratore le informazioni di base riferite ai singoli istituti contrattuali, purtuttavia potendo rinviare per le informazioni di maggior dettaglio al contratto collettivo o ai documenti aziendali che devono essere consegnati o messi a disposizione del lavoratore secondo le prassi aziendali.
Con un passaggio fondamentale dal punto di vista interpretativo, la circolare stabilisce che «la ratio della riforma è, quindi, quella di ampliare e rafforzare gli obblighi informativi, ma tale operazione di ampliamento e di rafforzamento deve essere calata nella concretezza del rapporto di lavoro».
La medesima circolare si affretta poi a chiarire che l’obbligo informativo non può essere assolto con l’astratto richiamo delle norme di legge che regolano gli istituti oggetto dell’informativa, bensì attraverso la comunicazione di come tali istituti, nel concreto, si atteggiano nel rapporto di lavoro tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro.
I punti che emergono dalle premesse della circolare sono dunque due: (1) anzitutto, il lavoratore deve essere posto in condizione di conoscere tutti gli elementi fondamentali che disciplineranno il suo futuro rapporto di lavoro; (2) in secondo luogo, al contempo, tale diritto di informazione non deve tradursi in un eccessivo onere per il datore di lavoro, in quanto l’obbligo deve adattarsi alla concreta realtà organizzativa ed essere assolto anche tramite rinvio alla disciplina collettiva o aziendale in vigore, di cui deve essere data adeguata informazione dal dipendente.
Ciò premesso, passiamo ora ad esaminare i singoli aspetti del Decreto Trasparenza analizzati dalla circolare ministeriale.
Il Decreto prescrive che il datore di lavoro debba informare il lavoratore sulla «durata del congedo per ferie, nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell'informazione, le modalità di determinazione e di fruizione degli stessi».
Le ferie e i congedi retribuiti cui si fa riferimento sono ovviamente quelli previsti dalla legge e dai contratti collettivi, ma è evidente - anche sulla scorta di quanto già chiarito in premessa - che l’attenzione dell’obbligo informativo si concentra sulla concretezza del rapporto e, su questo piano, oltre ai generali ed essenziali richiami alla disciplina legale applicabile, da formularsi con chiarezza e semplicità, occorre fornire al lavoratore le indicazioni della disciplina contenuta nel contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto.
Fermo l’obbligo dell’indicazione della durata del congedo per ferie, l’attenzione deve essere rivolta alla locuzione «nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore». Il primo aspetto che emerge evidente dalla formulazione letterale della disposizione è che rilevano esclusivamente i congedi retribuiti, per cui non vi è obbligo di comunicazione di quelli per cui non è prevista la corresponsione della retribuzione. Il secondo aspetto, altrettanto importante, è la perimetrazione del concetto di «congedo», atteso che nel nostro ordinamento esistono diverse forme di temporanea astensione dalla prestazione lavorativa variamente denominate (congedo, assenza, permesso, aspettativa, ecc.). Tenuto conto della formulazione letterale della disposizione -che evidentemente ha voluto prevedere l’informativa solo in relazione alle forme di astensione temporanea maggiormente incidenti sul rapporto di lavoro- si ritiene che l’obbligo di informazione per il datore di lavoro riguardi solo quelle astensioni espressamente qualificate dal legislatore come «congedo», ossia ad esempio:
Il Decreto prescrive che il datore abbia l’obbligo di indicare «l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e delle modalità di pagamento». Con tale formulazione, il Decreto intende riferirsi a tutte quelle componenti della retribuzione di cui sia oggettivamente possibile la determinazione al momento dell’assunzione, secondo la disciplina di legge e di contratto collettivo.
Pertanto, chiarisce la circolare, tale obbligo informativo non potrà riguardare voci variabili della retribuzione (come ad esempio il premio di risultato o di produttività) sebbene il datore di lavoro debba in ogni caso tenere informato il lavoratore dei criteri in virtù dei quali tali elementi variabili possano essere riconosciuti.
Uno dei punti più annosi della riforma riguarda l’informativa che il datore di lavoro deve fornire in merito alla «programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile».
In tal senso, la circolare chiarisce che l’interpretazione corretta di tale disposizione deve essere quella secondo cui le informazioni da condividere con i dipendenti devono riguardare, oltre alla generale disciplina legale, soprattutto i riferimenti al contratto collettivo nazionale e agli eventuali accordi aziendali che regolano il tema dell’orario nel luogo di lavoro. Nello specifico, le informazioni devono essere incentrate sulla concreta articolazione dell’orario di lavoro applicata al dipendente, sulle condizioni dei cambiamenti di turno, sulle modalità e sui limiti di espletamento del lavoro straordinario e sulla relativa retribuzione.
Interessante è il passaggio della circolare secondo cui «generalmente rientrano nella definizione del lavoro prevedibile anche le ipotesi di lavoro a turni e di lavoro multi-periodale: in tali casi sarà sufficiente indicare che il lavoratore viene inserito in detta articolazione oraria e rendere note le modalità con cui allo stesso saranno fornite informazioni in materia». La circolare, dunque, sembra avere sul punto un approccio pragmatico, in virtù del quale (in materia di articolazione oraria del lavoro) apparirebbe sufficiente indicare la tipologia di articolazione oraria applicabile al lavoratore nonché le modalità con cui tale articolazione verrà condivisa con il lavoratore.
Particolarmente importante è il passaggio della circolare inerente le modalità di assolvimento dell’obbligo di comunicazione. In questo senso, la circolare chiarisce espressamente che è possibile utilizzare diverse modalità per assolvere l’obbligo informativo, pur nel rispetto dei termini previsti dal Decreto, e che in particolare deve ritenersi ammessa la possibilità di comunicazione dell’informazione in modalità informatica, come già chiarito nella circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro di Agosto.
Nel solco di quanto sin qui detto, arriviamo dunque al nodo cruciale, che tanti dubbi ha suscitato negli interpreti. L’articolo 1-bis del D.Lgs. n. 152/1997 (come novellato dal Decreto Trasparenza) prevede ulteriori obblighi informativi nel caso che il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. In particolare, la nuova disposizione prevede che «il datore di lavoro o il committente pubblico e privato è tenuto ad informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori».
L’intento della circolare appare essere quello di circoscrivere la portata di questa disposizione.
Infatti, la circolare chiarisce che dalla lettura della norma devono individuarsi due distinte ipotesi che il decreto ha voluto regolare sotto il profilo degli aspetti informativi, qualora il datore di lavoro utilizzi sistemi «decisionali o di monitoraggio automatizzati» che siano: a) finalizzati a realizzare un procedimento decisionale in grado di incidere sul rapporto di lavoro; e b) incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori.
In questo senso, la portata della circolare è di fondamentale (e oseremmo dire definitiva) importanza: infatti, il Ministero si esprime nel senso di precisare che sulla base delle conoscenze e delle esperienze attualmente disponibili, si può ritenere che per sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati si intendono quegli strumenti che, attraverso l’attività di raccolta dati ed elaborazione degli stessi effettuata tramite algoritmo, intelligenza artificiale, etc., siano in grado di generare decisioni automatizzate. Nella sostanza, secondo il Ministero del Lavoro il Decreto Trasparenza richiede che il datore di lavoro proceda all’informativa quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi all’attività decisionale di sistemi automatizzati.
La circolare offre anche alcuni esempi di casi in cui sussiste l’obbligo dell’informativa:
La portata della nuova disciplina sarebbe, quindi, estremamente parcellizzata e limitata: non dunque una portata estesa all’estremo, come era apparso in sede di prima interpretazione (ossia estesa, ad esempio, alle policies di remunerazione a breve e lungo termine -si pensi alle procedure aziendale in tema di Short-Term Incentive Plans o Long-Term Incentive Plans, o ai piani di stock option o stock grant, etc.), bensì una limitazione ai casi in cui l’evoluzione tecnologica approda ad automatismi informatici nella gestione e cessazione del rapporto di lavoro (casistiche, in verità, molto lontane da apparire lo standard di gestione del personale).
In questo senso, la circolare chiarisce che l’ipotesi in questione riguarda l’obbligo di informare il lavoratore sull’utilizzo di sistemi automatizzati quali, a titolo esemplificativo, i tablet, i dispositivi digitali e wearables, i GPS e i geolocalizzatori, i sistemi per il riconoscimento facciale, i sistemi di rating e ranking, etc.
Sul punto non si ravvedono particolari novità rispetto a quanto già disposto dalle circolari ministeriali in materia di obblighi derivanti dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (in merito ai sistemi di monitoraggio a distanza dei dipendenti ed ai necessari adempimenti autorizzativi, ossia al nulla osta dell’Ispettorato del Lavoro e/o all’accordo sindacale aziendale per l’autorizzazione all’implementazione di tali sistemi di controllo). È tuttavia estremamente utile la esemplificazione offerta dalla circolare e sopra riportata, che consente di chiarire una volta di più, e in senso più specifico, quali siano gli strumenti che generano un controllo a distanza da disciplinare secondo le regole dello Statuto dei Lavoratori.
Come noto e come abbiamo già scritto nei nostri precedenti Alert, il Decreto Trasparenza non si è limitato a delineare gli aspetti informativi da condividere con i dipendenti al momento dell’assunzione, ma ha introdotto alcune importanti disposizioni che incidono, in modo diretto, su alcuni istituti di diritto del lavoro. Forniamo, in questo senso, una sintesi degli spunti offerti dalla circolare.
L’articolo 7 del Decreto Trasparenza fissa la durata massima del periodo di prova a 6 mesi, termine che può essere ridotto dai contratti collettivi, come definiti dall’articolo 51 del D.Lgs. n. 81/2015 (c.d. Jobs Act).
Nel caso di contratto a tempo determinato, il periodo di prova è fissato proporzionalmente alla durata massima del contratto, entro i limiti previsti ex lege, e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. Inoltre, in caso di rinnovo del contratto per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto a un nuovo periodo di prova.
Il comma 3 stabilisce che il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza, richiamando -a titolo esemplificativo- la sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità/paternità obbligatori. L’indicazione di tali assenze, coerentemente con quanto previsto nella Direttiva comunitaria, non ha carattere tassativo e dunque rientrano nel campo di applicazione tutti gli altri casi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, tra cui anche i congedi e i permessi di cui alla legge n. 104/1992, secondo un principio di effettività del periodo di prova.
L’articolo 8 vieta al datore di lavoro di impedire al lavoratore di svolgere contemporaneamente un altro rapporto di lavoro se quest’ultimo ha luogo in un orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata o di riservargli per tale motivo un trattamento meno favorevole.
Le uniche condizioni che consentono al datore di lavoro di limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro rapporto di lavoro sussistono laddove:
La sussistenza di tali condizioni, che hanno carattere tassativo, deve essere verificata in modo oggettivo, chiarisce la circolare: ossia tali condizioni devono essere concretamente sussistenti e dimostrabili e non rimesse ad arbitrarie valutazioni soggettive del datore di lavoro.
L’articolo 10 ha previsto il diritto per il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro presso lo stesso datore di lavoro e che abbia superato l’eventuale periodo di prova di poter accedere, ove possibile, ad un rapporto di lavoro più stabile e sicuro. Tale principio, anche alla luce del considerando n. 36 della Direttiva comunitaria, intende consentire a lavoratori che siano già occupati presso un datore di lavoro con forme contrattuali non particolarmente stabili, di poter transitare -previa espressa richiesta- verso contratti di lavoro che garantiscano maggiore durata e stabilità, a condizione che siano effettivamente disponibili presso il medesimo datore di lavoro.
Con ciò il Decreto intende indicare un’ottica «premiale» in termini di fidelizzazione dei dipendenti, conferendo maggiore stabilità ai dipendenti di lunga durata e, di fatto, introducendo un meccanismo evidentemente di maggior tutela ai fini della retention aziendale.
L’articolo 11 prevede che la formazione obbligatoria sia garantita gratuitamente a tutti i lavoratori, sia considerata come orario di lavoro e, ove possibile, sia svolta durante lo stesso.
La disposizione, tuttavia, non si applica alla formazione professionale e alla formazione per ottenere o mantenere una qualifica professionale, salvo che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla per legge o in base al contratto individuale o collettivo.